www.zawinulfans.org
|
AVVISO IMPORTANTE
25
anni con Zawinul:
Introduzione Era
l'autunno del 1974 quando mio cognato mi regalò il 33
giri Mysterious Traveller dei Weather Report a suo dire un
gruppo di musica jazz-rock (termine molto in voga in quel
periodo) di grande interesse. Lui li aveva scoperti in un
servizio dedicato al loro nuovo album, nella trasmissione
televisiva Adesso musica classica leggera e pop (ve la
ricordate? Quella presentata da Vanna Brosio e Nino
Fuscagni) e ne era rimasto affascinato. Io che ero abituato
ad ascoltare Lucio Battisti, l'Equipe 84 e al massimo le hit
di Carlos Santana, non mostrai particolare entusiasmo per
quel dono. Misi
sul piatto del mio stereo compatto della Davoli il disco e
cominciai ad ascoltare il primo brano, Nubian
Sundance. Non
avevo mai sentito niente di simile e mentre le note del
disco riempivano ogni angolo della stanza, mio cognato mi
parlava con notevole enfasi di un certo Joe Zawinul,
tastierista e leader dei Weather Report, di cui imitava il
suo modo di muoversi e gesticolare tra le innumerevoli
tastiere con pannelli modulari, piene di levette,
potenziometri e led luminosi. Al
mio orecchio profano questa musica risultò caotica,
con suoni spigolosi e di difficile ascolto. La mia prima
impressione non fu positiva, ma qualcosa stava maturando in
me. Sentivo
che questa musica doveva essere ascoltata e riascoltata con
più attenzione per apprezzarne tutto il suo valore, e
così feci.
A
poco a poco il mio orecchio si affinò e quel disco mi
entrò dentro definitivamente. La musica dei Weather
Report era sì complessa, ma molto intensa, ricca di
atmosfere rarefatte, sospese, un caleidoscopio di ritmi, di
colori, di timbri, un arcobaleno di note che mi dava
sensazioni meravigliose, evocava immagini di gente e paesi
lontani. Dopo
qualche anno mio cognato mi invitò al concerto dei
Weather Report ritornati in Italia dopo la loro unica
apparizione alla prima edizione di Umbria Jazz del
1973.
Era
il 15 luglio del 1976 al PalaEur di Roma. Per me fu una
serata storica, un concerto da mille e una notte,
indimenticabile. Il mio primo concerto. E pensare che per
colpa di alcuni esagitati, stava saltando il tutto: era il
periodo delle contestazioni giovanili, di chi pretendeva la
musica gratis. Scoppiarono dei disordini, con tentativi di
sfondamento e lancio di molotov. Il gruppo Napoli Centrale,
che aprì la serata, fu costretto ad interrompere il
concerto, dopo aver suonato un paio di brani. Per fortuna
arrivarono i Weather Report e tutto, a poco a poco, si
placò! Per
me fu un'emozione incredibile e da quel concerto
scoppiò "violenta" la mia ammirazione per
Zawinul.
Quella
sera rimasi impressionato anche dal grande Jaco Pastorius
che suonava il basso come non avevo mai sentito prima di
allora.
Il
giorno dopo il concerto comprai subito Black Market, il loro
nuovo album e la folgorazione continuò. Via via
acquistai tutti i loro album, andando pure a ritroso. Tale
Spinnin (il mio preferito), Sweetnighter, I sing the body
electric, ecc. Mi documentai su riviste di musica, libri e
giornali, tanto da divenire in poco tempo una sorta di
archivio vivente dei Weather Report. Cominciai
a comprendere il lavoro di Zawinul con le sonorità
affascinanti e misteriose che uscivano dai suoi
sintetizzatori e in particolare dal piano elettrico Rhodes.
E proprio da questa passione che decisi di imparare a
suonare le tastiere. Cominciai a studiare l'organo, poi il
pianoforte, fino ad arrivare a suonare il Rhodes che mio
padre mi comprò, felice di assecondare questa mia
profonda passione. Ero stanco di studiare gli standard jazz
e, con il piano elettrico a mia disposizione, potei
finalmente imparare, seppur con difficoltà, a suonare
dei brani dei Weather, per poi trovare, col tempo, una mia
personale identità musicale. La
musica dei Weather Report era entrata nel mio cuore,
cambiandomi la vita. Continuai a seguire Joe Zawinul,
l'alchimista dei suoni, con lo stesso entusiasmo, anche dopo
lo scioglimento della mitica band. Dalla breve parentesi con
i Weather up date, fino all'attuale Zawinul Syndicate, penso
di aver visto, da quel lontano 1976, più di una
trentina di concerti.
Nel
luglio del 1990, l'anno dei mondiali di calcio in Italia, in
occasione di Umbria Jazz realizzai il sogno della mia vita:
quello di incontrare di persona Joe Zawinul, la leggenda
vivente. Grazie a Giovanni Tommaso, ex bassista del Perigeo,
organizzatore delle clinics di Umbria jazz, partecipai allo
stage di una settimana con Zawinul, che si tenne al Teatro
Morlacchi di Perugia, proprio sul palco, di fianco alle sue
tastiere, dove ogni sera, per sei giorni, si esibiva con il
suo gruppo.
Fu
un'esperienza emozionante, indimenticabile anche sotto il
profilo umano. Zawinul oltre ad essere un grande musicista
è una persona molto comunicativa, di grande
disponibilità e condusse lo stage in maniera
assolutamente atipica. Espose non tanto la sua tecnica,
quanto il suo pensiero musicale, le sue esperienze di vita,
la sua filosofia, gli aneddoti e qualche prezioso trucco
strettamente tecnico. Ecco un estratto delle cose più
interessanti e curiose che disse Zawinul, durante questa sei
giorni, rispondendo alle innumerevoli domande che noi
stagisti, improvvisati giornalisti, gli
rivolgemmo. Intervista
a Joe Zawinul Quando
hai sentito che avresti dedicato la tua vita alla musica?
Non
so quando. So solo che la musica era l'unica cosa che
riuscivo a fare! Io venivo da una famiglia di umili origini.
Per lavorare bisognava usare la zappa, scavare, ecc. Mi resi
conto che se avessi cominciato a suonare, avrei potuto fare
dei soldi, senza farmi venire i calli alle mani! Questa fu
la spinta iniziale e poi scaturì l'amore per la
musica. Suonavo la fisarmonica per la famiglia, ma odiavo
farlo. Volevano tutti cantare; io per tenerli in riga,
dirigevo l'orchestra familiare. Da
giovanissimo che musica ascoltavi? Durante
la seconda guerra mondiale, ascoltavo la musica tedesca e
quella folk austriaca. Tu
hai sempre saputo ciò che volevi fare nella vita o ci
sono stati momenti di incertezza? Ho
avuto dei momenti di scoraggiamento. Quando sono andato
negli Stati Uniti, nel 1959, pensavo che lì avrei
potuto ottenere tutto quanto desideravo. Dopo alcuni anni,
verso il 1962, sentivo che stavo imitando altri pianisti.
Studiavo insieme a Barry Harris. Incisi un disco e Barry
ascoltandolo, disse che dal modo di suonare il pianoforte
sembrava proprio lui. Da quel momento compresi che non
potevo andare avanti così. Mi sentivo come se non
avessi fatto nulla! Avevo purtroppo la necessità di
fare soldi, visto che mi ero sposato e avevo dei figli.
Cominciai allora a scrivere, oltre che a suonare. Questo
alimentò ciò che era in me già prima di
andare negli Stati Uniti, ma che avevo dimenticato appena
arrivato, perché tentavo di imitare altri pianisti.
Riavvicinandomi alla scrittura, mi sentii rinascere e mi
resi conto che avevo qualcosa di diverso, di peculiare,
rispetto agli altri pianisti. Per
te che venivi dall'Austria, che sei bianco e che suonavi in
un contesto culturale completamente diverso, è stato
difficile entrare in contatto con altre
culture? Io
suonavo con tutti musicisti di colore e nel periodo della
segregazione razziale, dormivo nei loro alberghi, senza
alcun problema. A Cannon Ball gli chiedevano continuamente
perché non aveva scelto un pianista di colore. Lui
rispondeva: "Se mi portate un "nero" che suona come lui, lo
assumo!". Volevo suonare con loro, perché potevo fare
il jazz che mi piaceva. All'inizio, ero razzista nei
confronti dei bianchi che trattavano male i neri. Con me
loro si comportavano bene. Mi chiedevo il motivo per cui noi
bianchi trattavamo così i neri. Non
credi che ora in America, fortunatamente, la situazione sia
un po' cambiata? No.
I problemi ci sono ancora! Se tu sei nero, ma sei Magic
Johnson o Bill Cosby, o Michael Jackson e sei ricco, puoi
fare tutto quello che vuoi. Ma se sei nero e povero
Perché
ad un certo punto della tua vita hai preferito i
sintetizzatori al pianoforte? Quando
ero giovane, a Vienna, lo strumento più temuto era
l'organo: la sua gamma di timbri disorientava i musicisti.
Io lo preferivo per la sua varietà di suoni. L'organo
si può dire che sia stato il primo sintetizzatore.
Vivendo in Austria, un paese molto cattolico, lo ascoltavo
sempre in chiesa, la domenica mattina. Però la mia
famiglia era povera per cui mi potei permettere solo la
fisarmonica, l'equivalente dell'organo, visto che ha diversi
timbri. Subito dopo la seconda guerra mondiale, ero a Linz,
in Austria, a suonare in un club per gli americani e
scoprii, per la prima volta, l'Hammond B3. Trascorrevo otto,
dieci ore al giorno a provare i vari suoni. Per me è
sempre stato importante sperimentare. Dopo la scoperta
dell'Hammond, nel 1959, mentre lavoravo con Dinah
Washington, Ray Charles fu così gentile da regalarmi
il suo piano elettrico Wurlitzer che era però in
cattive condizioni. Cominciai così ad alternare il
piano acustico al piano elettrico, a seconda delle
situazioni. Più scelte ci sono e meglio è,
soprattutto dal punto di vista sonoro. Io non capisco
perché ci siano ancora musicisti che si ostinano a
suonare solo il pianoforte e alcuni critichino la musica
fatta con gli strumenti elettronici, dicendo che un'artista
quando suona uno strumento elettrico non è più
riconoscibile. Io penso che al pianoforte sia possibile
riconoscere Oscar Peterson, da un altro pianista, dal suo
stile e non da una nota soltanto. Una nota è una
questione tecnica, non ha nessun rapporto con chi la suona.
Anche le persone dotate di buon orecchio si trovano in
difficoltà a distinguere coloro che suonano uno
strumento elettrico. Ma è solo una questione di
educazione dell'orecchio. Questo tipo di musica appare tutta
uguale a chi non ha l'abitudine di ascoltarla. Per molti
anni ho lavorato con Friedrich Gulda, che è un grande
esecutore di musica e studioso di Chopin. Lui ha un orecchio
eccezionale. Mi divertivo a metterlo alla prova nel
riconoscere le note che suonavo, ma lui perdeva la sua
capacità quando provavo a suonare la stessa melodia
sui sintetizzatori. È solo una questione di
educazione all'orecchio. Più si riesce a sentire e
meglio è. Bisogna scegliere quali suoni vogliamo
ascoltare. La cosa importante è riuscire a
personalizzare il proprio modo di suonare, avere un
approccio individuale. Da piccolo suonavo la fisarmonica: un
timbro che si chiama musette, a me non piaceva; per
modificarlo e per personalizzarlo presi un panno da
biliardo, ne ritagliai un pezzo e lo incollai sulla
fisarmonica, in maniera da cambiare il suono. Tra l'altro,
suonavo la melodia con la mano sinistra per ottenere effetti
differenti da tutti quelli che suonavano in maniera
tradizionale. Oggi ci sono i sintetizzatori con tantissimi
suoni già confezionati, i presets; è meglio
non usarli, ma personalizzarli. Tutti gli strumentisti
dovrebbero suonare i sintetizzatori, non solo i pianisti.
Oltre alla scelta delle note è importante la ricerca
dei suoni perché fa venire in mente nuove idee. Chi
ha immaginazione andrà avanti; chi ha immaginazione,
suona i sintetizzatori! Quando
scrivi un brano, parti dal suono o dalla
melodia? Se
trovo il suono che m'ispira, accendo il registratore e
comincio a suonare. È sempre il suono a darmi
l'ispirazione. Qualsiasi approccio all'immaginazione va
bene, purché sia qualcosa che si sente. La Korg e la
Yamaha hanno entrambe degli ottimi strumenti, ma nessuno
può parlare con la voce di un altro. La cosa
più giusta è trovare un proprio modo di
espressione usando i sintetizzatori in maniera personale,
per ricercare uno stile che ci caratterizzi. Bisogna evitare
di ricreare una melodia da pianoforte con un altro
strumento. Una frase di violino, sarebbe impossibile da
ricreare con un pianoforte o con una tromba. Bisogna
realmente sapere come si produce il suono sullo strumento
originario, per poterla ricreare. Sul mio T8 della Prophet
ho un suono di violino che sembra vero. Per ricrearlo
è necessario che sullo stesso tasto, ci siano
più possibilità, in quanto la stessa nota di
violino può essere espressa in milioni di piccole
differenze. Ho impiegato tre anni per ottenere questo
timbro! Se
per comporre parti dal suono, qual'è quello che ti ha
ispirato Birdland? Era
il luglio del 1959, ed ero direttore musicale del tour di
Dinah Washington. In quel periodo c'era la segregazione
razziale. Io ero l'unico musicista bianco che suonava con
soli neri. In un concerto non mi vollero far suonare
perché ero bianco. Dinah disse che se non avessi
suonato, lei non avrebbe cantato. Con Dinah facevo una
musica un po' gospel e un po' pop; è da questo tipo
di esperienza che mi venne in mente Birdland. Per esempio il
suono del Wurlitzer, che mi aveva regalato Ray Charles,
m'ispirò per scrivere Mercy, Mercy, Mercy. Ero in uno
studio, a registrare con Cannon Ball Adderly; in un angolo
della sala, c'era un piano elettrico Wurlitzer: gli proposi
di suonare la canzone con quella tastiera e lui
accettò. Hai
mai scritto un brano ispirandoti ad un evento anziché
ad un suono? Nel
dicembre del 1968 tornai per la prima volta a Vienna, con i
miei tre bambini, che lasciai dai miei genitori, mentre io e
mia moglie dormimmo in albergo. Nevicava e la sensazione di
essere ritornato a casa, m'ispirò il brano che
scrissi di getto, in due minuti, In a silent way, senza il
pianoforte, né la carta da musica. Avevo in testa il
suono che questo brano doveva avere, un suono immaginario.
Il fatto di disporre sempre di nuovi suoni amplia la
possibilità di creazione. Nelle
tue composizioni quanto c'è di improvvisazione e
quanto di struttura? L'improvvisazione
copre un ruolo molto importante. La struttura armonica,
melodica e ritmica, nasce sempre dall'improvvisazione. Io
non sono una persona religiosa, però credo che se ti
è stato dato un dono, ne devi approfittare. Quando
suono con altri musicisti, subentra il problema di dare ad
ognuno un proprio spazio di espressione, per cui in una
registrazione, il 75% è strutturato e scritto, gli
assoli no. Nella
tua musica c'è ispirazione, ma anche esperienza di
vita e tanto studio. Un giovane musicista come deve agire
per ottenere buoni risultati? C'è
l'ispirazione, ma non solo. Ho quasi sessant'anni ed
è da una vita che giro il mondo. Mi ritengo molto
fortunato di aver avuto queste esperienze. Se uno mantiene
le orecchie e gli occhi aperti, queste esperienze si
assorbono e possono essere preziose. Il
jazz come tutte le musiche, quando è suonato bene
è splendido. Però l'arte è qualcosa che
va al di là ed è uguale in tutti i generi
musicali. C'è un salto di qualità che è
come un salto nel buio: poco codificabile, poco razionale,
poco analizzabile. Esiste secondo te un qualcosa che
trasforma un buon assolo in un'esecuzione artistica? E se
esiste, ce lo puoi descrivere? L'unica
cosa che vi posso suggerire è di essere rilassati. La
gravità deve avere il sopravvento; l'ombelico deve
cadere giù e non ci deve essere nessun tipo di
tensione muscolare. Io ho avuto la grande fortuna di suonare
con moltissimi musicisti, da Ben Webster a Cannon Ball
Adderly, a Miles Davis, che avevano in comune l'essere
rilassati; un rilassamento interiore. Come si ottiene?
Dipende. Dom Um Romao faceva yoga, Wayne Shorter era
buddista, io uso la grappa, ma questo non vuol dire.
L'importante è riuscire a raggiungere una calma
interiore e istintivamente far tesoro dell'esperienza
precedente. La differenza tra l'essere calmi e essere
"mosci" è veramente sottile. Quando vado in
tournée viaggio tutto il giorno in macchina e poi
alla sera devo suonare. A volte è successo che,
veramente stanco ho suonato meglio. La stanchezza ha preso
il sopravvento sull'eventuale nervosismo, per cui il corpo
si è automaticamente rilassato e, malgrado la
spossatezza, ho prodotto le esecuzioni migliori. Essere
calmi, sì, ma con il cervello in
attività. Il
problema di essere sintetisti negli anni '90, è nel
pensiero, nell'azione cerebrale che richiedono questi
strumenti per diventare maestri. Tu hai avuto questo set-up
di tastiere per diverso tempo e ciò ti ha dato la
possibilità di creare un rapporto con gli strumenti
molto più profondo di quanto normalmente accada al
tipo di musicista sempre preoccupato di comprare un nuovo
modello di sintetizzatore. È talmente preso da
ciò che non riesce a instaurare con lo strumento un
rapporto simile a quello dei musicisti, che suonano
strumenti acustici. Che ne pensi? Io
ho il T8 da più di otto anni. Ci sono cose che ancora
non ho scoperto. Non è necessario comprare sempre
l'ultimo tipo di sintetizzatore, anche perché ci sono
suoni che hanno tutti gli altri. È molto meglio
sviluppare un rapporto intimo con gli strumenti che uno ha.
Penso che le tastiere analogiche siano più umane di
quelle digitali, hanno un loro particolare respiro. Se vi
capita di trovare vecchi sintetizzatori analogici,
prendeteli, perché stanno per sparire e diventeranno,
prima o poi, come i dinosauri! Perché
non usi più il Fender Rhodes? Per
un problema tecnico. Quando suoni forte, robusto, sulla
tastiera, ogni sera dovresti riaccordare le barrettine e
ciò è scomodo. Il signor Rhodes ora ha messo
sul mercato un nuovo piano elettrico digitale, distribuito
dalla Roland, che non ha questi problemi. Però a
differenza del Rhodes originale, che aveva un suono robusto
per tutta l'estensione, quando si suona nella parte alta
della tastiera con il digitale, il suono è troppo
sottile. Rhodes me ne ha dato uno perché io ci lavori
e gli dia dei suggerimenti. Per
te non sarebbe più comodo avere un minor numero di
tastiere controller e avere tutto su rack? A
me servono almeno quattro controller per creare il tipo di
musica che faccio. Dal vivo suono in tempo reale e non ho la
possibilità di cambiare il suono da una macchina
all'altra, per cui preferisco avere un bel suono fermo,
lì, su una tastiera e non dover fare il Program
change. Le mie tastiere trasmettono e ricevono tutte su un
unico canale Midi e uso i pedali del volume per fare dei mix
tra loro; tutto in tempo reale. Potrei suonare
contemporaneamente su una tastiera, tutti i suoni delle
altre tastiere e degli expander. Un'alternativa potrebbe
essere un computer che inviasse tutti i Program change
memorizzati alle diverse macchine, nello stesso momento, ma
così sarei troppo legato al computer; quindi
preferisco avere più tastiere e far tutto in tempo
reale, seguendo l'istinto. Dal Midi patch bay che mi ha
costruito Jim Swanson posso accendere o spengere i miei
sintetizzatori.
Perché
hai scelto di usare nella tua musica il
Vocoder? Il
Vocoder è la mia arma e mi dà la
possibilità di esprimermi, di usare la voce e il
corpo per suonare delle melodie. Mi piacerebbe cantare: Dio
non mi ha dato il dono di una bella voce, ma con il Vocoder
posso farlo. Usi
il sequencer? Dal
vivo non uso il sequencer, anche se ne ho uno vecchissimo
dell'Arp, un arpeggiatore. A casa ho un computer Atari che
uso solo per registrare le mie esecuzioni, i miei concerti,
per risentirli e ricreare alcuni parti che mi interessano;
come se fosse un registratore. Parlaci
del Korg Pepe. Pepe
è il mio nome, Joe. La fisarmonica è stato il
mio primo strumento; ho una certa abilità tecnica nel
suonare la tastiera verticalmente, che è una tecnica
migliore. Nel mio ultimo album ho utilizzato la fisarmonica
che avevo da piccolo; ma dal vivo non la posso usare
perché è problematico amplificarla, con i
microfoni che capterebbero anche il rumore delle mani. Una
decina di anni fa pensai che si potesse inventare uno
strumento che avesse i bottoni come la fisarmonica e che
rendesse possibile controllare con il fiato l'attacco e il
volume delle note. Il più grande saxofonista con cui
ho suonato è stato Wayne Shorter; da quando non siamo
insieme, ho avuto il desiderio di suonare uno strumento a
fiato, senza assumere un altro musicista. Circa una decina
di anni fa presentai il progetto del Pepe alla Korg, in
Giappone, che mi prospettò quanto sarebbe stato
costoso e problematico fabbricarlo. Infatti al mondo
c'è un solo Korg Pepe, il mio. Il primo problema che
incontrarono fu il buon funzionamento dei bottoni. Io
suggerii di usare quelli della batteria elettronica. La Korg
mi spediva continuamente dei prototipi. Ci vollero circa tre
anni prima che riuscissero a trovare uno strumento che mi
soddisfacesse in pieno. Con il Pepe, posso assegnare note
differenti, a prescindere dall'intervallo; posso fare un
assolo con un unico tasto che, essendo sensibile alla
pressione, emette note diverse: è tutto completamente
programmabile; in un solo tasto si possono avere fino a sei
note diverse. Il Pepe ha un'estensione di tre ottave ed
è polifonico. Non ha suoni interni, è un
semplice controller Midi, che può essere
interfacciato con le altre tastiere.
Che
rapporto hai con i tuoi musicisti? Io
ho la mia famiglia, ma considero i miei musicisti un'altra
famiglia; tra l'altro, ho lo studio in casa per cui i miei
musicisti sono sempre con me, mangiano con me, giochiamo a
scacchi e viaggiamo insieme. Questo è molto
importante per consolidare il nostro legame. Non è un
rapporto limitato alla musica; con loro parlo di tutto. Se
non ci fosse comunicazione non potrebbe
funzionare. Come
avvenne l'incontro con Jaco Pastorius? Eravamo
a Miami con il gruppo e non avevamo un buon batterista. Il
trombonista Slide Hampton ce ne consigliò uno
africano che stava a Monaco, a suo parere, molto valido. Lo
contattai e lo feci venire in America. Mentre stava volando
da noi, il mio manager mi parlò di questo batterista
algerino, che viveva da 11 anni in Svizzera. La cosa mi
preoccupò; un batterista africano che vive da 11 anni
in Svizzera non può suonare! Lui arrivò,
cominciò a suonare e non mi convinse affatto. Ero
molto nervoso e alla fine del concerto, si presentò
un tipo con gli occhialetti, un po' strano, che mi disse:
"Signor Zawinul, io potrei aiutarla a creare una band
migliore. Sono Jaco Francis Pastorius III e sono il
più grande bassista del mondo! ". Io, già
nervoso gli dissi di andarsene; era presente una giornalista
che mi parlò di lui come di un grande musicista. Il
giorno dopo, in albergo, si ripresentò con il
fratello e alcuni nastri che ascoltai. Il resto è
storia, sapete tutti come è andata! Jaco all'inizio
era un ragazzo tutto casa e chiesa, molto religioso, e non
toccava alcolici. Un giorno, eravamo a casa mia con Shorter
e Peter Erskine, e nell'attendere Jaco, stavamo provando il
brano Brown Street. Ma lui non arrivò perché
nel frattempo era stato arrestato per eccesso di
velocità; tenni quella registrazione di prova senza
Jaco per l'album 8:30, aggiungendo una mia linea di basso
fatta con l'Arp Quadra. Anche dal vivo suonammo il brano
senza di lui, che scherzosamente mi diceva che gli avevo
rubato la parte; siccome lui voleva comunque suonare
qualcosa gli proposi le percussioni! Jaco era incredibile;
con la mano prendeva una tredicesima; poteva afferrare una
palla da basket con una sola mano e aveva un pollice pensile
che nel suonare gli accordi, lo aiutava molto. Era un atleta
fenomenale. Studiava tantissimo il suo strumento e poteva
suonare linee velocissime a lungo, senza mai stancarsi; non
ho mai visto nessuno capace di fare altrettanto.
Perché
fu licenziato? Pastorius
non fu mai licenziato dal gruppo. Lui chiese soltanto di
avere un anno di aspettativa per sviluppare il suo album, e
la tournée di Word of mouth. Dopo un anno, avevamo
assunto Victor Bailey, visto che nel frattempo per Jaco, si
erano creati dei problemi, diciamo di salute. Poco prima che
morisse pensammo di riunirci, ma purtroppo non facemmo in
tempo. Conclusioni Vorrei
concludere questo mio tributo al grande Joe Zawinul,
l'alchimista dei suoni, con una sua frase che disse agli
inizi dell'avventura con i Weather Report: "Questa musica
è una colonna sonora per la vostra mente e la vostra
immaginazione; speriamo possa servire a farvi felici,
facendovi pensare". Per
me è stato così. La musica di Zawinul e dei
Weather Report, una musica senza frontiere, mi ha fatto
felice, mi ha fatto sognare, mi ha regalato brividi
d'emozione, mi ha accompagnato, mi accompagna e mi
accompagnerà per tutta la vita! Quindi, anche a nome
dei tantissimi appassionati come me, non posso che
ringraziare Joe Zawinul per tutto questo. Grazie,
grande Joe!
Ringraziamenti: |